La penna mi cadde dalle mani, piangevo come un bambino di cinque anni, con le ginocchia sbucciate, solo che a sanguinare era il cuore. Mi attaccai alla bottiglia per quel che rimaneva della notte e passai il giorno seguente chiuso in bagno a vomitare alcol e ad ingoiare lacrime. Ma poteva vivere così un uomo? Mi sarei volentieri tolto di mezzo, se non fossi stato un vero vigliacco. Avrei smosso mari e monti per la donna che amavo, se non mi fossero mancate le forze. I miei amici erano dispiaciuti, ma anche un po’ stufi del mio comportamento. Ero scontroso, uscivo poco, non rispondevo al telefono. La segreteria era piena di messaggi che non leggevo mai. Un giorno mi arrivò un messaggio del tutto inaspettato. “Sei un grandissimo bastardo, ma ti ho pensato spesso dal nostro primo ed ultimo incontro. Chiamami. C.” Charlotte. L’avevo quasi dimenticata. Dio ero stato un grandissimo idiota, dovevo chiamarla. Lo feci la sera stessa. Rispose al terzo squillo. “Ehi, Charlotte sono Stefano” “Si ho riconosciuto il numero, cosa c’è?” Come cosa c’è? Era stata sua l’idea di risentirci, io non l’avevo cercata mai. “Dopo cena hai da fare? Se sei libera, il bar dell’altra volta è sempre aperto.” “Va bene, alle nove lì, ma se scappi un’altra volta ti cerco e ti investo.” Rise, chiuse la comunicazione. Quel bar era molto meno affollato la sera, e la trovai subito, seduta a sorseggiare un the freddo. Perlustrava con gli occhi il locale, ma non mi vide subito. Così rimasi ad osservarla per qualche minuto senza che si accorgesse di me. Era bella. Anche quando guardava l’orologio accigliandosi, e probabilmente maledicendo se stessa per aver dato una seconda opportunità all’idiota che ero. “Mi hai fatta aspettare.” “Scusami, non c’era un parcheggio libero.” Mi sedetti di fronte a lei, non mi chiese perché me la fossi data a gambe la volta scorsa. Parlammo del più e del meno, della crisi, di come fosse difficile arrivare a fine mese, degli affitti troppo alti, delle nuove generazioni, della musica, dei libri, delle stelle, degli animali domestici che nessuno dei due aveva a causa di due padroni di casa petulanti allo stesso modo, dell’inverno che stava per tornare, di tante cose, di tutto e niente. E stavo bene, stavo bene davvero. “Andiamo al mare?” mi chiese. Ansia. Al mare io c’ero sempre andato con Luna. “Charlotte, scusami si è fatto tardi.. domani devo lavorare, ti dispiace se rimandiamo? Ti accompagno alla macchina..” “Ci so arrivare benissimo da sola, buonanotte.” Uscì dal locale e la vidi svoltare l’angolo e perdersi in qualche vicolo. Un perfetto imbecille, ecco che cos’ero. Composi il suo numero. “Dimmi Ste’, cos’hai dimenticato?” “Fermati dove sei, vengo a prenderti. Non dirmi di no, saremo solo io, te e il mare.” Mi sorpresi della naturalezza con cui pronunciai quelle parole, e capii che erano quelle giuste. Charlotte mi teneva la mano, era felice. Scendemmo in spiaggia. Spiegai il lenzuolo scolorito che avevo trovato nel bagagliaio dell’auto e stappai la bottiglia di vino che mi ero fermato a comprare. Purtroppo niente bicchieri, ma andava bene lo stesso. Quella notte, anche le stelle brindarono alla rinascita di un piccolo uomo. Le raccontai tutta la storia dell’uomo in pezzi che ero stato, del perché me ne fossi andato quel giorno, del mio periodo da alcolizzato, del viaggio a Roma, di tutto l’amore che ero stato capace di tirar fuori e della solitudine che avevo provato per qualche anno. Lei incredibilmente mi capì, e la sua non fu la solita compassione che leggevo negli occhi della gente intorno a me, nei suoi di occhi ci lessi una grandissima voglia di aiutarmi a tornare ad essere felice, a piccoli sorsi, piano piano, ed io non potevo chiedere di meglio. Tornai a casa giusto il tempo necessario per togliermi il sale dalla pelle e darmi una sistemata al ciuffo informe che avevo in testa. Andai al lavoro esausto ma felice, e la giornata passò in fretta. Charlotte mi aveva invitato a cena la sera dopo, non avevo idea di cosa indossare. Seduto sul bordo del letto, mi guardavo disperato allo specchio, come un quindicenne al primo appuntamento. Nessuno ci crede, ma anche a noi uomini viene l’ansia prima di vedere una donna. Alla fine optai per un jeans ed una camicia bianca. Mi ero fatto la barba, avevo il viso liscio come un adolescente, i capelli erano sistemati, avevo dimezzato la bottiglietta del profumo. Ero pronto, stavo per uscire di casa quando mi accorsi non avere niente ai piedi. Tornai in camera, mi infilai le scarpe, inserii l’allarme e finalmente uscì. Charlotte aprì la porta con un grandissimo sorriso, dalla cucina arrivava un odore delizioso. La cena fu ottima, la compagnia una delle migliori, ma alla fine la stanchezza prevalse sul desiderio, e ci addormentammo abbracciati sul divano prima che arrivasse la mezzanotte. Quella notte dormii senza sognare, senza svegliarmi. Le prime luci dell’alba ci accarezzavano i volti, ed il fresco venticello che entrava dalla finestra mitigava il calore del suo corpo. La guardai. Il trucco leggermente rovinato, il vestito verde sgualcito, i capelli arruffati, era bellissima. Le lasciai un biglietto, “torno presto”, ed io la promessa la mantenni. Era sveglia da poco quando suonai alla porta, tenevo la colazione tra le mani e scoppiamo a ridere quando vidi che l’aveva preparata anche lei. Doppia colazione, non male come buongiorno. Scappai poi di corsa a lavoro, con lei che mi salutava affacciata alla finestra della camera. Stavo sbagliando di nuovo tutto? Era Charlotte ciò che volevo? E Luna? L’avevo abbandonata così? Tecnicamente ero stato io ad essere abbandonato, lo so, e senza nemmeno troppo tatto, ma frequentare una donna che non fosse lei, andava contro tutti i miei propositi. Volevo bene a Charlotte, ma la stavo per caso trattando come seconda scelta? Non erano forse le tante somiglianze con Luna che mi avevano attratto da subito? Dovevo parlarle, mettere in chiaro le cose, il meccanismo del mio cuore si era rotto in mille schegge da un bel pezzo, e non sarebbe tornato mai quel che era prima. L’indomani mattina andai a trovarla, c’era un vento pazzesco, era domenica e nessuno dei due amava particolarmente i soliti pranzi in famiglia domenicali. Sarebbe stato il classico pomeriggio da coperte e film, ma io avevo un certo talento nel rovinare qualunque cosa bella mi capitasse fra le mani. “Charlotte io non posso. Mi dispiace. Ci ho provato davvero a non pensare al passato, ma preme e fa più male che mai. Non voglio farti del male, non lo meriti, perciò finiamola qui, meglio farlo adesso che siamo ancora agli inizi.” E il premio “Indelicato del mese” va a.. me, che domande. “Avrei dovuto aspettarmelo, che sciocca. Ti voglio bene, ma adesso sparisci.”
-Rebecca
lunedì 12 ottobre 2015
Torno presto pt.7
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