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venerdì 9 ottobre 2015

Torno presto pt.4

Dunque i tempi che seguirono quella partenza/ ritorno, furono davvero difficili. Mi presi una settimana di malattia, rimasi a casa come un vegetale, mangiavo poco, fumavo molto, bevevo troppo. Amavo il sapore dell’alcol e la sensazione di freddo che mi lasciava in gola mentre bevevo. Diciamo che in poco tempo mi trasformai da uomo distrutto in uomo depresso quasi alcolizzato. Andavo in giro per locali fino a notte fonda, vagabondavo per le strade ubriaco e finivo sempre a dormire in case non mie, circondato da capelli che non mi ricordavano nulla. Ero convinto di aver annegato i miei problemi nella vodka più buona, di aver annegato la sua voce che mi rimbombava sempre nella testa, la sua bocca color fragola e i suoi occhi. Dio! Quegli occhi avrei passato giorni interi a baciarli. Ero convinto di averla dimenticata. Ma tutto andò ancora peggio, se possibile. I ricordi galleggiavano splendidamente sull’orlo del bicchiere che riempivo ogni volta, e lei era sempre dentro me. L’alcol non serviva proprio a nulla! Mi aveva solo fatto venire una pancia da cinquantenne trascurato, costringendomi a segnarmi in palestra. Non c’era qualcosa di migliore per dimenticare? Di più forte? Che ti mandava fuori di testa? In realtà c’era, la droga, ma io a quella roba non mi volevo nemmeno avvicinare. Ne avevo visti tanti prima di me che avevano fatto una brutta fine per la polvere. Non volevo ridurmi in quello stato, e a dir la verità non ero così tanto disperato da buttarmi a capofitto nel tunnel. C’era poco a cui pensare, poco da cercare, dovevo riprendermi, e senza nessun tipo di robaccia. Mi alzai dal letto, mi feci la barba e indossai una camicia pulita. Era ora di riordinare la casa, i piatti straripavano dal lavandino, i panni sporchi si accumulavano in bagno e in ogni stanza possibile, dovevo fare la spesa dato che non avevo quasi più niente da mangiare. Erano altri tempi quelli in cui non era importante riempire il frigo. Stop. Basta. Chiuso il cassetto dei ricordi. Dovevo almeno provare. Se non fossi riuscito a non pensarla per una sola mattinata sarei stato libero poi di crogiolarmi tranquillamente nel dolore, ma non senza aver provato. Accesi lo stereo, era da tempo che non sentivo la musica. E stavo bene così, con lo stereo che strillava nelle orecchie parole che mi facevano star meglio. E capii che era vero tutto ciò che era stato detto sulla musica, è l’unica compagna che ti rimane accanto per tutta la vita, quella  che trova le parole esatte, che non tradisce, che ti fa sentire sempre vivo. Finii le faccende e uscii di casa. Il sole era forte, illuminava tutto. Non mi ero mai accorto di quanto fosse bello, forse perché avevo sempre avuto accanto qualcosa di più potente del sole, che faceva splendere ogni cosa. Vagavo senza alcuna meta precisa, avevo lasciato libero arbitrio ai miei piedi, sperando che non mi avrebbero portato in un altro viaggio nei ricordi. Ero però stranamente felice, camminavo con la consapevolezza di essere un altro uomo, un uomo cosciente, se pur ancora con l’anima in pezzi. Ci sarebbe voluto del tempo per ricomporli. E di tempo ne avevo tanto. Ero deciso a dimenticarla, non importava quanto avrei sofferto, quanto sarei stato male. Era la soluzione più giusta, per me. D’altronde ero un uomo, debole, ma un uomo. E non volevo più comportarmi come una donna depressa abbandonata all’altare. Camminavo piano, mi godevo il bel tempo, l’aria satura di odori che avevo quasi dimenticato, troppo occupato a logorarmi dentro: il profumo del pane appena sfornato, dei ristoranti che lavoravano frenetici, l’odore dei tanti libri nelle librerie, che da sempre mi aveva rilassato. Pur vagando sul fondo, non ho mai smesso di leggere. I libri erano per me una cura, le storie che leggevo mi facevano evadere dalla prigione di un mondo che non mi piaceva, che forse non mi voleva nemmeno. Ma più che leggere amavo l’odore che emanavano le pagine mentre le sfogliavo. Mi trasmettevano qualcosa di buono, di bello, qualcosa che mi faceva del bene. Tornai a casa sudato, stanco, ma felice. Sentivo il cassetto dei ricordi premere, il viso di Luna che cercava di farsi spazio tra i miei pensieri, la tentazione era forte –quasi troppo forte- ma non lo aprii, lo lasciai chiuso, e ci misi pure qualche lucchetto. E buttai le chiavi. L’ora del pranzo era passata da un pezzo, mangiai un po’ di frutta soltanto, in vista della cenetta che avevo deciso di prepararmi. Mi feci una doccia, accesi lo stereo e iniziai a cucinare. Alle otto era tutto pronto: fettuccine al ragù, pollo arrosto con patate, verdura di contorno, e un piccolo tiramisù. Non avevo certo intenzione di mangiare tutto, ma cucinare aveva tenuto la mia mente occupata per tutto il pomeriggio. Quella sera dunque mangiai non poco, accompagnato da buona musica e ottimo vino bianco. Andai a letto tardi – forse le schifose sit-com iniziavano a piacermi- un po’ brillo, soddisfatto di essermi comportato bene per tutto il giorno. Mi addormentai quasi subito.  Mi ritrovai in un prato verde, sdraiato al sole, con una brezza leggera che –piegai la testa per guardare- accarezzava margherite e girasoli. Profumo di miele. Luna distesa accanto a me, più bella che mai. Sorridevamo, eravamo felici. Una parte della memoria mi suggeriva che stavo solo sognando, ma lasciai il sogno continuare. Col dolore ci avrei fatto i conti appena sveglio. Io e Luna – sì, era proprio lei- eravamo distesi su una tovaglia a scacchi da pic-nic, mentre le formiche cercavano di rimediare qualche briciola del nostro pranzo  che, a giudicare da quanto ne era rimasto, nulla, doveva esser stato davvero ottimo. E ad un certo punto ci ritrovammo a correre lungo quella distesa d’erba che sembrava infinita, a correre come due  bambini felici. E ci rincorrevamo, e ci prendevamo, e correvamo e correvamo senza mai prendersi, senza mai lasciarsi, correvamo, ridevamo, ci abbracciavamo. Ed io l’amavo, dio quanto l’amavo. E lei mi amava, dio quanto mi amava. E si insomma, ci amavamo e tutto andava bene perché io ero lì, e lei era con me, ed eravamo noi, noi soltanto che ci rotolavamo su quel prato enorme, quasi quanto la felicità che provavo in quel momento. Lei aveva i capelli sciolti, il vento si divertiva dispettoso a spettinarla, rendendola forse ancora più bella di quanto non lo fosse appena sveglia, quando ancora calda di sonno si teneva stretta forte a me, per rimanere così qualche minuto in più. Anche se io ci sarei rimasto tutta la vita così. Senza andare a lavoro, senza bere né mangiare, che tanto c’era lei a riempirmi dentro. Mi svegliai di colpo, nel bel mezzo della notte, solo come un cane, con due fiumi di lacrime che scendevano diritte sul volto, scroscianti come torrenti in piena. Luna! Diavolo, Luna! Dov’eri? Dove diavolo eri? Perché eri così lontana da me?  Da me che ti desideravo più di ogni altra cosa. Non riuscii più a prendere sonno, quella notte. Incredibilmente il cassetto dei ricordi era stato così insistente da riuscire a rompere i lucchetti della mia mente. Debole, ancora una volta.
 
                            -Rebecca

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