E così gli amici mi chiedevano: “Stefano, come stai? Come ti senti?” Ma che razza di domande erano? Dio solo sa quanto le odiavo. Come volevano che mi sentissi? Solo? Perso? No, come quando di notte si addormenta un braccio, una mano. E diventa insensibile: è come se non aveste più quella parte del corpo, come se vi mancasse qualcosa. Ecco sì, io mi sentivo proprio così. Mi mancava una parte di me, che era andata via con lei, che era sparita nel nulla, o che era proprio lei. Non lo so, non so quale parte fosse, ma era di sicuro lì, vicino al cuore, perché ogni tanto sentivo un vuoto. E quando tentavo di ritrovarla, di ricomporre i pezzi, sentivo tante fitte allo stomaco. Di quel dolore che ti spinge a girarti in un angolo a vomitare quando sei per strada e cammini senza stringere nella tua mano la sua. Di quel dolore che la notte non ti lascia in pace, come a dire: “Si nemmeno stanotte ho dormito per lei!” Ecco beh, non era una gran situazione, anzi mi sentivo proprio uno schifo ma colpa sua non era. La colpa era la mia, era tutta la mia. Che fissavo ancora quel telefono che non s’illuminava, che stavo come con gli occhi di un cane bastonato sul ciglio della strada ad aspettare il suo ritorno, che non andavo avanti, che ero bloccato, sorretto da qualche inesistente speranza, la quale mi faceva sperare che lei avrebbe cambiato idea e sarebbe corsa di nuovo da me. Ero convinto che qualcosa di così grande, così profondo, non si potesse dimenticare o evitare o cercare di non pensare. Ma quello che non avevo capito, era che solo io la vedevo in quel modo. E va bene sì, anche a me a volte era venuta la voglia di mollar tutto e andar via, ma era sottinteso che con me ci sarebbe stata anche lei. Non avevo mai pensato a una vita senza di lei. E’ così strano che un uomo provi così amore? Non siamo sempre noi quelli rozzi, non romantici, che dimentichiamo anniversari e occasioni speciali, che ce ne andiamo con la scusa di comprare un pacchetto di sigarette, che siamo fissati per il calcio e le macchine, che graffiamo loro il viso con la barba di due giorni? Sì, assolutamente sì, siamo noi, abbiamo tutti i difetti di questo sporco mondo, ma se amiamo, lo facciamo nel modo più puro possibile. Ed io la amavo da morire. E forse la amo ancora, anche se una nuova famiglia mi circonda e le rughe ormai m’incorniciano il volto. Sì, in un certo senso non l’ho mai dimenticata. Era quel genere di persona che qualcuno lassù in cielo, mi aveva mandato per farmi capire che tutto sommato ero un bravo ragazzo, per aver meritato tanto. Ma poi me l’aveva strappata via, con la forza di un uragano, di un mare in tempesta, impetuoso, violento. Ed io non ero mai stato capace di respirare sott’acqua, avevo paura del mare. Quando da piccolo ci andavamo tutti insieme, io me ne stavo sotto l’ombrellone a fare i cruciverba con mia nonna. Prima veniva anche lei al mare, insieme a nonno, poi quando lui se n’è andato, si è rinchiusa dentro casa, e si è prosciugata piano piano fino a spegnersi del tutto. Quando è morta, avevo undici anni, non la volli vedere, avevo il terrore che mi avrebbe fatto senso, ma soffrii molto. Era la mia super nonna, che preparava pranzi per eserciti interi, che faceva delle torte al cioccolato buonissime, che non avrei mai voluto perdere. Ma la fine arriva per tutti prima o poi. Purtroppo. Per me in un certo senso era finita quando Luna mi lasciò. Da quel giorno ho iniziato a sprofondare negli abissi, senza coralli né pesci colorati, ricordo che c’era solo tanto buio. Ma perché se n’era dovuta andare? Lo so, non ero mai stato abbastanza per lei, ma stavamo bene insieme. Aveva giurato di non lasciarmi mai, di restare con me per sempre. Ma credo sia facile giurare di restare. Così facile promettere di non andare via mentre il mondo volta le spalle. Era stato così facile per lei giurare di restare e poi andar via come han fatto tutti gli altri. Non un ripensamento, qualche parola che suonasse come una scusa. Ma non si accorgeva che tutto era cambiato? Non sentiva il suo cuore battere un po’ più piano? Non le mancavano i capelli tra le dita e i nasi che si sfioravano? Forse sì. O forse no. Ma è stato comunque facile per lei scappare piuttosto che provare a rimanere. Come il mare che s’infrange sulla riva, e poi la lascia cambiata, diversa. Così lei aveva fatto con me. Soltanto che poi il mare se la riprende la riva. E lei, lei non mi prese più. Così lei era la musica nella mia conchiglia, ed io il sassolino anonimo sul bagnasciuga. Povero sassolino, chi mai l’avrebbe guardato in mezzo a tutte quelle belle conchiglie? Ma lei lo fece. E da allora il sassolino è diventato più coraggioso, più bello. Non era più un sassolino in mezzo a tante conchiglie, si sentiva anche lui una bella conchiglia. Sì, io ero il sassolino. Lei l’aveva preso, osservato, custodito tra le mani e poi gettato tra le onde più altre quando si era accorta di ciò che era, solo un sasso, solo io. Avrei tanto voluto invece che lei avesse continuato a stringermi forte. Ma è scappata via. Mi ha lasciato solo. Se avesse sentito il cuore debole, e avesse cercato una soluzione per farlo tornare potente, avrebbe dovuto cercare me. Se fosse andata tra tante conchiglie, e non ne avesse trovata nessuna adatta a lei, avrebbe dovuto ricordarsi di cercare tra i sassi. Che avrebbe trovato me, solo ma in compagnia di tanti. Sempre lì, sul bagnasciuga, nell’attesa di essere stretto ancora.
-Rebecca
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