Quando l’abbracciava si aggrappava a lui quasi come fosse
sempre sul punto di naufragare, di affondare, di perdersi, come se fosse
un’àncora lui, un porto sicuro, un molo a cui attraccare, la terra dopo mesi di
unico vasto oceano, si aggrappava lei, cercando sempre di non finire sul fondo.
Lui conosceva la sua debolezza mista a timidezza, ma anche la sua forza, onda
che spazzava via ogni cosa. Lei si aggrappava a lui come fosse stato la roccia
di un precipizio troppo vicino, il bordo di un balcone troppo alto, il
corrimano di una scala troppo ripida, il parapetto di una nave troppo bagnata.
Lui la lasciava fare, non l’avrebbe mai fatta cadere, e se un giorno fosse
caduta, sarebbe di certo scivolato con lei. Ma sarebbero risaliti insieme, non
c’era alcun dubbio. Avevano ormai superato così tante difficoltà che solo
stringendosi le mani avrebbero potuto arginare il mare. Ma preferivano sentire
la schiuma delle onde sbattere loro sul viso, gelare le guance e ghiacciare le
lacrime accumulate agli angoli degli occhi da giorni infiniti, di gioia,
dolore, rabbia, voglia di vivere, di morire, di sprofondare ma risalire a
galla, senza mai lasciarsi o trovarsi del tutto. Anche lui avrebbe voluto aggrapparsi a lei,
lei così fragile, lei di vetro, lei come rugiada sulle foglie al mattino,
benzina sul fuoco, acqua nel deserto, lei che saziava subito, ma lei che non
bastava mai.
-Rebecca
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