“17:20.
Lui era uno stronzo.
Lei non capiva che lo aveva reso tale.
Era una delle tante storie che sentivo al bar.
Sembrava fatto apposta: ogni giorno c'era qualcuno disposto a sputarsi addosso.
Erano disposti a perdere tutto per delle frivolezze.
Si mandavano a quel paese per appuntamenti mancati, per regali non ricevuti, per complimenti non fatti.
Lui alzava la voce.
Lei cominciava a piangere dicendo che non meritava niente di tutto questo.
Io bevevo caffè.
Io bevo ogni giorno caffè.
L'unica compagnia sincera disposta a osservare ogni giorno storie in cui cambiano solo i nomi, non le situazioni.
E me lo chiedevo.
Mi chiedevo fino a che punto fossero disposti a farsi male.
Fino a che punto la superficialità potesse renderli così stupidi.
Mi sentivo fuori luogo.
E glielo avrei detto.
Gli avrei detto che invece che prendersela perché lei era uscita col suo migliore amico per una birra, avrebbe potuto chiederle come fosse stato.
E a lei avrei detto quanto un regalo fosse indice di amore.
Le avrei chiesto se 24 carati fosse abbastanza.
Li vedevo così distanti da me.
Li vedevo persi in una realtà apparente e non sostanziale.
Io litigavo per altro.
Io discutevo per le sensazioni che mi lasciavano addosso certe frasi.
Io non regalavo diamanti.
Io regalavo i sorrisi sinceri.
Io la facevo sentire speciale.
E lei se n'era comunque andata.
Allora mi fermavo. Guardavo tutte queste coppie che si demolivano.
Le guardavo e non riuscivo a capirne il meccanismo.
Se avessi litigato per così poco, lei sarebbe rimasta?
Non capivo.
Avevo visto amori rompersi.
Amori riprendersi.
Avevo visto persone rinfacciarsi anche i caffè offerti.
Avevo visto mani volare.
Le avevo lette tutte quelle storie e non erano niente di entusiasmante.
La soluzione era così semplice, bastava capire che cosa si volesse davvero.
Eravamo sempre io e il mio caffè.
E le storie sempre le stesse.”
-MH.
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