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domenica 11 ottobre 2015

Torno presto pt.6

E invece poi, non ho avuto più niente. Ero rimasto solo con l’amaro in bocca. In quel periodo della mia vita, pieno di conflitti interiori, mi aiutava a non pensare il disegno. Avevo sempre avuto un certo talento nel disegnare, ma stupidamente non l’avevo mai sfruttato. Così presi qualche foglio bianco. Disegnavo senza avere alcuna scena in mente. Alla fine il foglio si riempì di colori: c’era un cielo, con qualche gabbiano in lontananza. C’erano due piedi nudi, un corpo snello fasciato di un abito grigio. I capelli erano mossi da un vento dispettoso che giocava a spettinare una bellissima donna. Ma lei non era dell’umore adatto per scherzare. Di spalle, la immaginavo mentre faceva un gran respiro e avanzava tra le onde, che nel frattempo si infrangevano sull’orlo dei suoi piedi, dita invisibili che cercavano di prenderla con la forza. E poi ancora, camminare tra la corrente di quelle acque, fino a sentirne la freddezza sul viso. Lei attendeva così tanto quel momento, quella pace dei sensi che annullava tutto quanto, te stesso compreso. Mi resi conto che quel disegno rappresentava un po’ la mia vita: una continua discesa verso il basso, con un culmine che non avevo ancora raggiunto, ma di cui già sentivo l’odore. L’odore del fallimento, la consapevolezza di non aver combinato niente di buono nella mia vita. Non avevo frequentato l’università, mi ero sposato troppo giovane con una ragazza che credevo sarebbe stata la donna della mia vita, l’avevo amata troppo, o troppo poco, ed era fuggita da me, quando le cose sembravano andare ancora per il meglio. Mi mancava, in ogni momento, in ogni istante. Ed era sbagliato, non potevo farmi influenzare così da una persona, soprattutto non dopo così tanto tempo. Ridevo, scherzavo, ma Dio solo sapeva la voglia di gridare che avevo dentro. Dio solo sapeva quanto mi mancasse tutto quanto. Soprattutto le cose più piccole, che erano quelle che ci facevano grandi. Ed erano proprio quelle cose che avrei voluto indietro. Ma non potevo. Non potevo riavere ciò che era stato distrutto, calpestato e buttato via. Anche se, se fosse dipeso da me, lo avrei ripreso pure con tutti i cerotti. Sentivo persino il bisogno fisico di respirare il suo profumo, era così dolce. Ho passato ore ad annusare la sua pelle, che profumava di lei. Ho trascorso momenti strazianti annusando i miei vestiti che sapevano di miele. Sentivo fitte allo stomaco quando ricordavo, fitte allo stomaco quando pensavo a lei e lei non c’era più. Non era come nei film, in cui l’amore della tua vita si pente di averti lasciato e torna più innamorato che mai. Era tutto diverso. Nessun film. Nessun ritorno. Ero solo a tutti gli effetti. La mia unica famiglia era stata lei per molto tempo, figlio unico, i miei genitori erano morti in un incidente stradale qualche anno dopo il mio matrimonio. Mio padre aveva una pazienza infinita, era la calma fatta persona. Era sempre gentile, anche con chi molto spesso non lo meritava. Era un tipo non molto alto, magro, avevo i suoi stessi occhi: blu, grandi e luminosi. Quando sorrideva, cosa che accadeva di frequente, si formavano intorno ai suoi occhi tante piccole rughe: dettaglio che fece innamorare mia madre. Lei, beh, era lei. Mio padre diceva di essersi innamorato della sua mente più che della sua bellezza. Ma io so che non era tutta la verità. Certo, senza dubbio mia madre era una donna davvero intelligente, ma era dotata di una bellezza da mozzarti il fiato. Labbra piene, velate sempre di rossetto, occhi grandi e azzurri. Occhi capaci di spogliarti l’anima. Aveva i capelli lunghi fino a metà schiena, neri. Mio padre diceva che i suoi capelli erano del colore di una notte senza luna. Aveva un fisico da modella, ma aveva scelto una carriera che impiegava il cervello e non il corpo: aveva studiato fino a diventare un ottimo avvocato. I miei genitori erano due persone fantastiche, insostituibili, e perderli fu il dolore più grande della mia vita. E l’una era stata da subito l’ancora a cui aggrapparmi. Ma adesso perché mi ritrovavo di nuovo sul fondo? I giorni trascorrevano più o meno tutti uguali, tra la voglia di rivederla e la paura che mi attanagliava lo stomaco al solo pensiero di guardarla di nuovo negli occhi. Io c’avevo una guerra dentro. Amore, tristezza, apatia, dolore, gioia, iperattività, stanchezza e tanta solitudine. Sentimenti paralleli ed opposti che si scontravano di continuo, lasciandomi quel nodo alla gola che non m’abbandonava mai. Oramai non ci facevo nemmeno più caso. Aprii gli occhi nel bel mezzo della notte, e capii da subito che sarebbe stata un’altra di quelle notti. L’insonnia era diventata una fedele compagna. Guardai l’orologio, erano le tre spaccate. Il mondo dormiva a quell’ora, o almeno una parte. Magari, in qualsiasi parte del mondo lei fosse, era sveglia e pensava a me. Speranza vana, lei non mi voleva più. Mi alzai dal letto, andai in bagno, mi feci una doccia e poi mi guardai allo specchio: barba di qualche giorno, capelli folti ma tendenti al grigio, occhiaie quasi violacee, occhi stanchi. Diciamo che non ero il ritratto della bellezza. Mi accesi una sigaretta e uscì sul balcone. Non c’era nemmeno una stella. Volevo parlarle, anche solo per un miserissimo minuto, volevo conoscere tutte le risposte ai miei perché, e lo giuro, avrei accettato qualsiasi cosa, qualunque parola d’odio, di scherno, di compassione, pur di sentire la sua voce ancora. Decisi di scriverle una lettera, anche se era il gesto più inutile del mondo, non conoscevo mica il suo indirizzo. “Ciao Luna..” no così non va. Ma che è, una tua amica? Sei patetico, non riesci nemmeno a buttar giù due parole per la donna che dici di amare. E quando anche la vocina nella tua testa inizia ad insultarti, beh, diciamo che c’è da preoccuparsi. “Cara Luna..” si ok, il classico inizio, niente di speciale, ma su continua, vediamo cosa combini. “..scriverti una lettera è il gesto più banale che io possa fare, ma è l’unico modo che ho per sentirti più vicina. Non ho il tuo indirizzo, dunque sarà una lettera totalmente inutile, ma lasciami scrivere, lasciami cercare le parole e cancellarle tutte dopo due minuti esatti, lasciami gridare e strappare il foglio, e ricominciare mille e mille volte ancora. Sai che sono sempre stato un po’ testardo. Insomma, come stai? Bene immagino. Oh, io dici? Sì sì, io sto bene, benissimo direi, così bene che sono qui a scrivere, come un pazzo nel bel mezzo della notte, una lettera che nessuno tranne me leggerà mai, ad una donna che amo più della mia stessa esistenza su questo schifo di mondo, che mi ha lasciato solo come un cane, che diceva di amarmi ed è fuggita prima dell’alba. Ma sto bene, non preoccuparti. Ti odio, ti odio davvero. Non dovevi andare via, mi hai deluso, non credevo fossi così. Pensavo fossi diversa, una donna speciale. Sei come le altre. Dio Luna scusami, mi manchi così tanto. Non prendere per vere le parole che ho appena scritto, sono le parole di un uomo pazzo d’amore, ma pur sempre pazzo. Mi manchi da morire. Dove sei? E con chi? Riesci a dormire stanotte? Vorrei essere lì con te per guardarti mentre dormi, col volto sereno di chi non ha problemi. Accarezzarti i capelli, coprire la punta del piede che lasci sempre fuori, o scoprire le mani per tenerle nelle mie. Sentire il respiro regolare, il cuore che batte forte. Indovinare i sogni che fai a partire dalle tue espressioni. Chissà se ci sono anche io nei tuoi sogni. Ma comunque, spero sempre che siano sogni belli, i tuoi, anche senza di me. ‘Che non sopporterei di sapere che ti sei svegliata già triste. Sono quasi le quattro Luna. Andiamo al mare. Sì, adesso. No non sono pazzo te lo giuro. Andiamo al mare, io e te. Togliamoci le scarpe, i vestiti, guardiamo le stelle, facciamo il bagno, facciamo l’amore. No non sto scherzando. Facciamo l’amore, non quello che fanno nei film. Quello vero. Quello che si fa con gli occhi. Poi con le labbra, poi con le mani e solo dopo con il corpo. Andiamo al mare, io e te. Accendiamo un fuoco, beviamo una birra ubriachi d’amore, beviamo l’amore ubriachi di birra. Ridiamo a voce troppo alta, parliamo a bassa voce, sussurriamo tra i capelli. Siamo solo io e te. Andiamo al mare, andiamo via. Con la sabbia nelle scarpe appena comprate, con il sale sugli asciugamani presi di corsa in qualche armadio. Fuggiamo, che il mare aspetta solo noi, senti ci sta chiamando. Andiamo al mare, portami via da qui, da me, con te. ‘Che tutto andrà meglio se ci sei, se ci sei tutto va meglio. Portami via che io non aspetto altro. Luna sto impazzendo. Luna torna qui. Non avrei dovuto scriverti, ho sbagliato, perdonami. Perdonami tutto quello che non ho fatto e scusami per tutto quello che non ti ho dato. ‘Che tu meritavi tutto quello che c’è di bello nel mondo.”

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