“Quella notte feci l'amore con la sua assenza.
La sentii tutta penetrare, lentamente, nelle ossa.
Avevo perso il conto delle ore.
Avevo perso l'orologio.
Scorreva lenta, soffermandosi su quelle parti del corpo che sempre avevo detestato.
Si faceva sentire.
Era capace di far tremare.
Nessun piacere dettato dal dolore, solo nostalgia.
Fredda, tanto fredda.
Non capivo.
Non riuscivo a capire cosa fosse successo, cosa fosse cambiato.
Perché la sua assenza avesse preso il posto delle sue mani che avevano sempre dipinto quadri bellissimi su di me.
Riusciva a farmi sentire un'opera d'arte.
Continuavo a pensare di essere miserabile.
Appartenente a quel fiume di volti senza identità.
Ognuno con la propria solitudine o la consapevolezza di aver ceduto l'ultimo pezzo di sé.
Era proprio l'ultimo.
Hugo avrebbe fatto camminare le sue dita nell'incavo delle mie clavicole, evidenziando questa condizione.
Schiele l'avrebbe dipinta con dovuta pietà.
E Van Gogh, probabilmente, avrebbe accennato un sorriso di compassione, giusto per farti sentire meno solo.
Quella notte feci l'amore con la paura di averla persa.
Di dover fare i conti con ricordi lancinanti che avrebbero occupato ogni attimo del mio tempo.
Non sono mai stata brava con gli avvenimenti improvvisi.
Ma sapeva non smentirsi.
E così come sconvolse la mia vita di fronte al primo mare, ne sembrava voler uscire.
Ricordo però che rimasi meravigliata delicatamente dal silenzio con cui mi fece, lentamente, sua.
Non me ne accorsi.
Piano piano, e poi la consapevolezza che fosse la certezza.
Era lei quella delle sicurezze e delle protezioni.
Io avevo sempre avuto paura.
Ero sempre stata evasiva e ferita.
E non sapevo.
Non sapevo cosa fare, cosa dire, se mai ci fosse qualcosa di intelligente da dire.
Ma mi mancava.
Tremendamente.
Ed era amaro il sapore della solitudine.
Ed era freddo il mio corpo senza le sue mani.
E quella notte mi ritrovai con la sua assenza.
E ci feci l'amore.”
-MH
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